[Credit: Joe Tucciarone]

Le meteoriti SNC I: l’origine marziana

di Ernesto Palomba (2002) - da cassiopeaonline.it

Le meteoriti sono frammenti di corpi del nostro Sistema Solare che in seguito a impatti meteorici si sono distaccati dal corpo progenitore e hanno vagato nello spazio per milioni d’anni fino ad incontrare il nostro pianeta, dal quale sono stati irrimediabilmente attratti. Tipicamente, frammenti di dimensione maggiore della decina di centimetri riescono a sopravvivere all’incontro con la nostra densa atmosfera e a raggiungere il suolo, dove vengono ritrovati come meteoriti.

La maggior parte delle meteoriti è di presunta origine asteroidale, la restante piccola parte si suddivide quasi equamente tra meteoriti di origine lunare e marziana. Una delle domande più frequenti che la nostra mente evoca quando si parla di meteoriti marziane è: in che modo si riesce a sostenere che sono marziane?

Ovviamente, poiché finora non è stato possibile riportare sulla Terra campioni del suolo marziano (al contrario delle rocce lunari riportate dalle sonde Apollo, per le quali c’è stato un confronto diretto con le corrispettive meteoriti), le prove che si hanno sono soltanto indirette e sono state raggiunte dopo diversi anni di ragionamenti, esperimenti e scoperte, a volte fortuite.

Seguendo il filo di questo ragionamento è facile comprendere che gli asteroidi, corpi progenitori della maggioranza delle meteoriti, hanno potuto sostenere attività vulcanica soltanto per alcune centinaia di milioni di anni dall’inizio della formazione del Sistema Solare, ma non oltre, poiché si sono raffreddati molto rapidamente. Al contrario, i pianeti rocciosi di maggiore dimensione, come la Terra, Venere e Marte, hanno mantenuto un’intensa attività sino a tempi recenti, come dimostrato dalla vastità delle regioni di origine vulcanica, presenti sui loro suoli.

Il diagramma a lato (in basso) riassume brevemente questo concetto e allo stesso tempo rende chiaro che gli unici corpi che possono aver prodotto le meteoriti SNC sono Venere oppure Marte. Quest’ultimo viene, però, privilegiato a causa della sua minore dimensione e dunque minore gravità.

Un frammento della meteorite marziana “Shergotty” [Credit: http://www.psrd.hawaii.edu]

L’astronomo Eugene Shoemaker e alcuni suoi collaboratori furono i primi, già nel 1963, a suggerire la possibilità che frammenti prodotti da impatti meteorici su Marte avrebbero potuto liberarsi nello spazio e, successivamente, raggiungere la Terra. Allora, le meteoriti SNC apparivano avere caratteristiche molto particolari, come ad esempio una chiara origine vulcanica e un età molto giovane rispetto alle comuni meteoriti. Queste, infatti, hanno un’età confrontabile con quella del nostro Sistema Solare (4,56 miliardi di anni) o comunque di poco inferiore. Al contrario, alcune delle SNC sembra si siano formate tra un miliardo e mezzo e 200 milioni di anni. Questa caratteristica esotica, rispetto alle normali meteoriti, è il primo indizio di una probabile differente origine. Infatti, la durata dell’attività vulcanica di un corpo planetario è legata direttamente alla sua dimensione: dato che il rapporto superficie-volume diminuisce al crescere del raggio, pianeti di maggiore dimensione perdono calore interno molto più lentamente di quelli più piccoli.

Seguendo il filo di questo ragionamento è facile comprendere che gli asteroidi, corpi progenitori

Una regione di Marte denominata Tharsis, nella quale sono evidenti strutture geomorfologiche di tipo vulcanico. Nella parte alta, a sinistra della foto, sono visibili flussi di lava che hanno rimodellato la superficie pre-esistente. Immagine ottenuta dalla sonda “Mars Global Surveyor”.
[Credit: Mars Exploration]

della maggioranza delle meteoriti, hanno potuto sostenere attività vulcanica soltanto per alcune centinaia di milioni di anni dall’inizio della formazione del Sistema Solare, ma non oltre, poiché si sono raffreddati molto rapidamente. Al contrario, i pianeti rocciosi di maggiore dimensione, come la Terra, Venere e Marte, hanno mantenuto un’intensa attività sino a tempi recenti, come dimostrato dalla vastità delle regioni di origine vulcanica, presenti sui loro suoli.

Il diagramma a lato (in basso) riassume brevemente questo concetto e allo stesso tempo rende chiaro che gli unici corpi che possono aver prodotto le meteoriti SNC sono Venere oppure Marte. Quest’ultimo viene, però, privilegiato a causa della sua minore dimensione e dunque minore gravità.

Nonostante questa chiara evidenza, i più strenui oppositori all’origine marziana delle SNC obiettavano che fosse impossibile riuscire a liberare frammenti nello spazio per mezzo di un impatto meteorico, data la notevole gravità del pianeta, che tradotta in velocità di fuga è pari a 5 km/s. In sostanza l’obiezione si riassumeva nella semplice domanda: come pretendiamo di trovare meteoriti di origine marziana se mai si son trovate meteoriti di origine lunare, essendo la Luna più vicina a noi e di minor dimensione e dunque avente una velocità di fuga due volte inferiore a quella di Marte?

Ma questo logico interrogativo fu risolto quando, nel 1982, durante una campagna di osservazione della banchisa antartica alcuni geologi ritrovarono nella neve una meteorite acondrite (successivamente nominata Alan Hills A81005). Studi di laboratorio e confronti con materiale lunare, riportato dalle missioni Apollo, confermarono che la meteorite era di origine lunare. Da allora altri esemplari sono stati identificati, e oggi formano una famiglia di 25 meteoriti lunari. Se questo ritrovamento affievoliva le resistenza della fazione anti-marziana, rimaneva però ancora da spiegare il meccanismo di eiezione dei presunti frammenti marziani nello spazio.

Il meteorite Alan Hills A81005 rinvenuto in Antartide nel 2001, durante una spedizione finanziata dal “National Science Foundation” e dalla NASA allo scopo di cercare indizi sulle origini del Sistema Solare e la possibile presenza di vita su Marte.
[Credit: ANSMET – The Antarctic Search for Meteorites]

Il dilemma fu risolto, neanche un anno dopo, da Vickery e Melosh, i quali spiegarono con un modello pubblicato sulla rivista Science nel 1983, la possibilità che, in seguito a un grande impatto meteorico, frammenti della superficie marziana potessero essere scagliati nello spazio senza vaporizzare, a causa dell’enorme quantità di energia liberata nel processo.

Dai calcoli che essi effettuarono riuscirono a stabilire diversi scenari, in grado di riprodurre un tale evento. Ma la maggior parte di questi concordavano col fatto che soltanto impatti che avrebbero poi potuto produrre crateri di dimensioni maggiori di 1 chilometro sarebbero stati in grado di produrre frammenti di dimensione paragonabile alle varie SNC ritrovate (maggiori di un metro). In conseguenza dell’impatto, i minerali costituenti i frammenti avrebbero dovuto subire un processo di vetrificazione (fenomeno che avviene raffreddando subitaneamente un materiale fuso, oppure deformandolo con una pressione adeguata per tempi brevissimi). Ciò si accordava perfettamente con la morfologia tipica delle meteoriti SNC, che sono tra le più vetrificate di tutte quelle conosciute.

Nello stesso anno una scoperta quanto mai casuale, da parte di Bogard e Johnson, portò quasi definitivamente gran parte della comunità scientifica al serio convincimento che le meteoriti SNC fossero di origine marziana.

La scoperta dei due fu alquanto accidentale. I due scienziati si erano prefissi di misurare il gas rilasciato dai frammenti vetrosi della “shergottite” Elephant Moraine A79001, riscaldandoli. Uno degli isotopi del gas argon (40Ar ) è il prodotto del decadimento del potassio ( 40K ) e, nella tecnica di datazione radiometrica, la sua misura è essenziale per stimare l’età di formazione della fase vetrosa e dunque il tempo al quale avvenne l’impatto meteorico che diede origine alla meteorite.

La misura che essi ricavarono era assurda, cioè in eccesso di 6 miliardi di anni! Per spiegare questa

anomalia, essi assunsero, correttamente, che la fase vetrosa potesse contenere del gas 40Ar in più, non dovuto al solo decadimento del potassio 40: questo poteva essere stato intrappolato nella meteorite durante la fase di formazione del vetro, presumibilmente dall’atmosfera del corpo progenitore. Misurando successivamente il contenuto degli altri gas intrappolati nel vetro della meteorite, si giunse all’incredibile conclusione che la loro composizione era identica a quella presente nell’atmosfera marziana, così come era stata misurata dai Viking lander.

Dopo questa scoperta, vennero estratti i gas dalle fasi vetrose di altre meteoriti SNC e le misure confermarono ancora una volta questo risultato eccezionale, dando così una conferma definitiva al fatto che le meteoriti SNC sono frammenti di suolo del Pianeta Rosso, scagliati nello spazio interplanetario in seguito a violenti impatti meteorici e giunti fino a noi.


Questo articolo fa parte di una serie di contributi pubblicati, circa 20 anni fa, in uno dei primi e forse più interessanti blog italiani di astronomia, cassiopeonline.it, fondato da Daniela Villani ed un gruppo di fantastici ricercatori, con i quali ebbi la fortuna di collaborare. Purtroppo Cassiopeaonline non è più attivo da oltre 15 anni, tuttavia, chiesi a Daniela di poterne conservare e ridivulgare i contenuti. Oggi, finalmente, ho deciso di condividerli con voi, in quanto ritengo che siano un piccolo tesoro da preservare. I contenuti sono riportati integralmente, mentre alcune immagini sono state attualizzate.