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L’eredità di Copernico

di Raffaele Battaglia

Il pensiero scientifico ha sostenuto nei secoli un processo lungo ed impegnativo fatto di percorsi che, sovente, hanno introdotto interpretazioni errate, distorte o semplicemente parziali dei fenomeni naturali. Ciò nonostante, ogni nuova concezione, sia essa risultata valida o meno, ha indotto una maturazione delle idee grazie alla quale la realtà si è profilata pian piano ai nostri occhi in modo del tutto nuovo … Una realtà molto più “profonda” di come un’analisi superficiale indurrebbe, invece, a rappresentarla. Tale processo, che ha coinvolto tutte le discipline dello scibile umano, ci ha tra l’altro prospettato una nuova ed affascinante idea di Universo, ancora oggi ricca di incognite e certamente non definitiva.

Il cosmo, almeno in occidente, è stato “pensato” per molti secoli secondo lo schema di Tolomeo, nel quale la Terra, centro di “ogni cosa” ne era perno immobile e centrale. Stelle, Sole e pianeti, gregari in moto, svolgevano il loro ruolo attorno all’uomo che, da creatura divina, ne era non soltanto lo spettatore, ma addirittura il protagonista indiscusso.

Nonostante per le necessità dell’epoca tale concezione potesse rappresentare il moto degli astri con sufficiente approssimazione, essa si fondava su presupposti tutt’altro che fisici ed era incentrata sull’idea che un complesso sistema di deferenti ed epicicli fosse il fondamento dei meccanismi alla base dei moti planetari.

Edizione del “De revolutionibus orbium coelestium” [Credit: Université de Liège]
Circa cinque secoli fà, però, iniziò un processo evolutivo della conoscenza che portò alla definitiva rottura fra la concezione scientifica del mondo e l’antropocentrismo religioso. Il XVI secolo inaugurò, infatti, un processo di “declassamento” del ruolo dell’uomo, iniziato da Nicholas Copernicus (1473-1543) con il “De Revolutionibus Orbium Coelestium” e terminato da Charles Robert Darwin (1809-1882) con “L’origine della specie”.

A causa della costruzione di strumenti sempre più precisi, che mettevano in evidenza rilevanti discordanze fra i dati osservativi e le previsioni dovute al “modello geocentrico”, il grande costrutto sostenuto per più di millequattrocento anni iniziò pian piano a vacillare. Le discrepanze osservate vennero colmate con l’ideazione di varianti via via più complesse, ma per tale ragione il sistema stava, poco alla volta, cedendo sotto i colpi delle nuove tecnologie.

La grandezza di Copernico fu di sostenere fino in fondo l’ipotesi “eliocentrica”, idea, tra l’altro, già prospettata da Aristarco di Samo nel 300 a.C. circa. Ponendo al centro dell’Universo il Sole e considerando la Terra alla stregua degli altri pianeti, egli riuscì a concepire un modello molto più semplice di quello tolemaico, descrivendo il percorso degli astri sulla volta celeste senza l’ausilio della macchinosità delle vecchie concezioni. In tal modo riuscì a render conto del moto retrogrado dei pianeti, noto fin dall’antichità, e a giustificare il fatto che Mercurio e Venere avessero un’elongazione solare massima mai superiore a poche decine di gradi.

Tuttavia, nonostante la grande intuizione, nella descrizione copernicana dell’Universo restavano ancora tracce dell’antica dottrina e l’accuratezza dei calcoli non fu comunque maggiore di quella ottenuta nell’ambito del modello tolemaico. L’indiscutibile contributo dell’opera di Copernico fu però di portata enorme. Egli aveva ormai aperto la strada a nuove idee che di lì a breve avrebbero scardinato in modo definitivo il conservatorismo scientifico fortemente voluto e sostenuto dalla Chiesa, aprendo la strada ad un nuovo modo di vedere il mondo.

Verso la fine del 1500, infatti, le abilissime e sistematiche capacità matematiche di Joanne Kepler (1571-1630), coadiuvate dall’eccellente lavoro osservativo perpetrato da Tycho Brahe (1546 – 1601), fornirono gli strumenti necessari a dimostrare inconfutabilmente la centralità del Sole.

Keplero, apprezzato per la sua eccezionale metodicità, dimostrata in uno stravagante lavoro intitolato “Mysterium Cosmographicum”, fu accolto da Tycho Brahe a Praga, con l’espressa richiesta di ricostruire l’orbita di Marte a partire dai dati osservativi che lo stesso Brahe aveva accumulato in molti anni di meticolose osservazioni. Contrariamente a quanto Keplero si attendeva, l’orbita di Marte non poteva in alcun modo essere descritta considerando per essa una forma circolare. Ciò valeva sia nel caso si adottasse il vecchio sistema di deferenti ed epicicli, sia considerando il più recente modello copernicano. Nonostante gli innumerevoli accorgimenti adottati, le discrepanze erano sempre superiori ai 3 minuti d’arco, dello stesso ordine di grandezza degli errori di misura. Fu proprio tentando di risolvere questo enigma che Keplero si rese presto conto della necessità di ricostruire nel modo più accurato possibile la forma dell’orbita della Terra. Era possibile, infatti, che tali discrepanze derivassero da un’errata collocazione di quest’ultima.

Grazie all’enorme mole di dati ereditati dal lavoro di Thyco Brahe, Keplero scoprì che la velocità apparente del Sole lungo l’eclittica non era uniforme e che in ogni periodo dell’anno siderale, quando la posizione del Sole si proiettava sullo stesso sfondo di stelle fisse, essa si riproponeva con i medesimi valori. Di conseguenza, se la Terra orbitava intorno al Sole, ciò significava che la sua traiettoria doveva essere chiusa! Conclusione affatto scontata per l’epoca!

Ma come ricostruire la forma e le dimensioni dell’orbita terrestre? Fu proprio grazie alle osservazioni di Marte, che Keplero ottenne la sua soluzione …

Ogni pianeta ha un proprio periodo di rivoluzione intorno al Sole, al termine del quale si ritrova ad occupare la medesima posizione originaria rispetto alla stella. Nel caso di Marte tale periodo è di circa 687 giorni. Considerando come punto di partenza il momento in cui Marte era in opposizione di fase rispetto al Sole, e per la precisione il momento in cui Marte, Sole e Terra si trovavano lungo la stessa direzione rispetto ad un particolare sfondo di stelle fisse, era possibile tracciare una “linea di base” da usare come riferimento.

Dopo 687 giorni, Marte tornerà ad occupare la stessa posizione rispetto al Sole, ma non rispetto alla Terra, la quale, a sua volta, ha un periodo siderale di circa 365 giorni. Il sistema formato dai tre “punti”, Terra, Sole e Marte, darà così luogo a un triangolo e ciò si ripeterà dopo molte altre rivoluzioni di Marte intorno al Sole.

Keplero comprese che, grazie al fatto che Marte e Sole si disponevano, nei periodi considerati, lungo una stessa direzione di riferimento, uguale per tutti i triangoli, fosse possibile determinare la forma dell’orbita terrestre, adottando il metodo trigonometrico della “triangolazione”. Nota la forma dell’orbita terrestre, sarebbe stato possibile ricostruire la traiettoria di Marte intorno al Sole. Mentre l’orbita terrestre risultò essere molto prossima ad una circonferenza, Keplero dovette concludere che quella di Marte fosse particolarmente eccentrica.

Egli giunse, così, alla conclusione che, solo adottando un’orbita ellittica, con il Sole posto in uno dei due fuochi dell’ellisse, era possibile render conto delle osservazioni entro i limiti degli errori di misura. In questo modo, i calcoli si accordarono, come mai prima d’allora, con i dati osservativi. Tale concetto fu successivamente esteso a tutti i pianeti del sistema solare, Terra compresa.

La formulazione delle tre leggi di Keplero nasce da un duro lavoro portato avanti dall’astronomo allo scopo di ridurre oltre quarant’anni di osservazioni lasciate in eredità da Thyco Brahe. La grandezza di Keplero fu quella di riuscire a trovare finalmente un ordine fondato nell’analisi empirica e nell’applicazione meticolosa delle metodologie matematiche. Per questo possiamo considerare Keplero il primo astronomo “moderno”, fondatore della Meccanica Celeste.
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Fu grazie, dunque, a quella “potente lanterna” (così Albert Einstein definisce Marte in “Come io vedo il mondo”) che i risultati poterono essere pubblicati da Keplero nei suoi “Commentariis de motibus stellae Martis” nel 1609. In essi ritroviamo le prime due delle famose tre leggi di Keplero:

  • I pianeti percorrono orbite ellittiche intorno al Sole, il quale occupa uno dei fuochi.
  • Il raggio vettore, che congiunge il centro del Sole con il centro dei pianeti, descrive aree uguali in tempi uguali.

La terza legge di Keplero fu invece divulgata nella sua opera “Harmonices Mundi”, nel 1619:

  • Il quadrato dei periodi di rivoluzione dei pianeti è proporzionale ai cubi dei semiassi maggiori delle loro orbite.

Le leggi di Keplero segnano, dunque, la fine della dottrina geocentrica e l’inizio della meccanica celeste e della nuova astronomia. Essendo però soltanto delle leggi empiriche, esse non forniscono la ragione di tale comportamento dei pianeti. Le leggi di Keplero, come vedremo la prossima volta, sono infatti la conseguenza di una teoria ben più generale.

In quegli stessi anni, intanto, Galileo Galilei (1564-1642) puntava il suo piccolo cannocchiale verso il cielo, rivelando meraviglie fino ad allora celate agli occhi dell’uomo. La visione di Giove con i suoi quattro satelliti sembrava riprodurre su piccola scala il moto dei pianeti intorno al Sole. Le fasi di Venere, la presenza delle macchie sulla superficie del Sole, che ne risaltavano il suo moto di rotazione, erano chiare evidenze della “corruzione” dei cieli. Il contributo di Galileo Galilei non si fermò, però, alla sola osservazione telescopica. Egli si trovò, infatti, a dover affrontare un periodo storico ostile al sorgere di concezioni innovative e dovette combattere e … “soccombere” all’oscurantismo allora vigente negli ambienti ecclesiastici.

Nel 1632, Galilei pubblicò il “Dialogo sopra i due Massimi Sistemi del Mondo”, nel quale esponeva le

Le osservazioni che Galileo realizzò con i cannocchiali da lui stesso costruiti, rivelarono un Universo del tutto nuovo. Ciò che Galileo osservò servì a rafforzare le sue convinzioni circa la veridicità dell’ipotesi eliocentrica di Copernico. La visione dei satelliti medicei, che ruotavano attorno a Giove, rivelava una realtà completamente diversa da quella proclamata dalla teoria tolemaica: esistevano dei corpi celesti che orbitavano intorno ad un corpo diverso dalla Terra!

opinioni contrapposte di Salviati, il copernicano, e di Simplicio, il tolemaico, moderati da un terzo personaggio, che prendeva il nome di Sagredo. Dall’opera veniva fuori un chiaro ed esauriente quadro delle due dottrine, cosa che, senza l’ausilio della complessità matematica, rese accessibile ad un vasto pubblico ciò che fino ad allora era rimasto campo di competenza esclusivo degli esperti.

Benchè apparentemente sembrava esserci un perfetto equilibrio dialettico fra Salviati e Simplicio, l’opera minava implicitamente la vecchia concezione geocentrica. Ciò fu sufficiente per fornire alla Chiesa il pretesto per mettere al bando, nel 1633, il trattato sui “Massimi Sistemi”, obbligando Galileo ad abiurare le proprie convinzioni relative al sistema eliocentrico.

Gli ultimi anni della sua vita Galileo li trascorse presso la sua villa ad Arcetri, colpito da cecità, ma la sua opera non era ancora ultimata … Abbandonando, almeno apparentemente, ogni accenno alla teoria copernicana, Galileo si dedicò quasi completamente agli studi sulla meccanica, sviluppandone gli aspetti principali con una capacità scientifica tale da decretare ai posteri il suo genio indiscutibile. Con i “Discorsi e Dimostrazioni intorno a Due Nuove Scienze”, scardinò nei fondamenti la dottrina aristotelica, partendo da pochi assiomi generali.

Il principio della relatività del moto, il principio d’inerzia, la legge sulla caduta dei gravi, il moto parabolico, furono discussi in modo esemplare, utilizzando come fondamentale strumento di sintesi la matematica che, a partire da quell’epoca, venne considerata senza dubbio il migliore strumento per rappresentare i fenomeni fisici.

Ironia della sorte, il lavoro, indirettamente indotto dagli eventi successivi all’inquisizione subita da Galileo, costituì un ulteriore e fondamentale tassello, la cui forma completa stava per essere raggiunta. Il passo più grande, infatti, non era ancora stato fatto: la formulazione di una legge universale che potesse essere applicata non solo al nostro Sistema Solare ma all’intero Universo.

Era davvero possibile che il moto dei pianeti fosse regolato da una legge universale? Oppure le regolarità osservate nel nostro Sistema Solare erano da considerarsi semplicemente “locali”?